Vino bianco e aspirina
Hirnrissige
Geschichten
Diogenes Taschenbuch, 2002
Traduzione di Susanna Piccoli
Vino bianco e aspirina
Il mal di testa c’era già da prima
che entrassi nell’aula. L’aria condizionata peggiorava soltanto la
situazione. Sapevo che avrei dovuto resistere per tre ore. Poi un
bicchiere di vino bianco e un’aspirina e la speranza. La speranza che
mi sarebbe passato presto.
La mia distrazione era pari a questo
stato. Dopo aver detto le prime tre frasi, in mezzo alla quarta mi
accorsi che non sapevo più di che cosa si parlava nella prima.
Ancora
due ore e mezza, una tortura. Ma dei bei quattrini che appunto dovevo
guadagnarmi. Dovevo tenere un seminario, e venti studenti dovevano
frequentare un seminario. Già da tempo c’era stato tra noi un tacito
accordo di renderci vicendevolmente la vita il più sopportabile
possibile. Per questo nessuno chiedeva che cosa intendessi veramente
con quello che stavo dicendo. Per cui neanch’io ero tenuto a
rifletterci su. Altra cosa che allietava la mia testa.
Il fatto
che infine io dimenticassi il mal di testa finché non fu passato,
volatilizzato, era dovuto alla storia. A una storia che ad un tratto e
senza preavviso era lì, seduta nell’aula. La storia fu raccontata da
una studentessa turca non ancora ventenne, dai capelli colorati di
verde, in un tedesco dall’accento svizzero, la quale fino ad allora non
si era distinta per particolare zelo. Le era stata raccontata una
storia.
Ad Istambul viveva un professore molto
noto di Storia Antica di Istambul. Uno studioso vecchio stile,
tranquillo, che parlava con le mani e con frasi lunghe, un uomo che
mangiava e beveva di gusto cose buone guardando le danzatrici. Il
professore soffriva da anni di un mal di testa costante che lo
accompagnava sempre. Vi conviveva con un sorriso appena accennato e
mangiava e beveva guardando le danzatrici.
Finché un giorno il
mal di testa diventò più forte. Questo affermava il professore. Ma
sapeva che non era il mal di testa ad essere più forte, ma lui che era
diventato più debole. Perché provava sempre meno gioia nel mangiare,
nel bere e nelle danzatrici. "È l’età", disse al suo amico, il medico.
"Allora dovremmo convincerci" rispose il suo amico, il medico, "che i
veri piaceri della vita siano da ricercare nell’arte."
Il
mal di testa del professore diveniva di giorno in giorno più
insopportabile, così insopportabile che il suo volto assunse un colore
cinerino. Andò dal suo amico, il medico e disse:"Aiutami."
Il
suo amico, il medico, era medico proprio di quei casi in cui la testa
crea dei problemi. Attaccò dei fili alla testa del suo amico, li
collegò ad un apparecchio, tracciò sulla carta con delle linee il
cervello dell’amico, lo fece pensare al mangiare, al bere e alle
danzatrici e confrontò le linee nuove con le vecchie, infilò il suo
amico, il professore di Storia Antica di Istambul nel cilindro e guardò
su uno schermo l’interno della sua testa a fettine e quando il
professore vide sul monitor del computer il suo cervello a fettine e a
colori divenne ancora più grigio in volto lasciò senza una parola la
clinica e bevve per il resto del giorno raki e divenne triste.
Il
giorno seguente il suo amico, il medico, lo mandò da un altro medico.
Al professore furono fatte decine di domande ed egli rispose a tutte,
gentilmente e pazientemente, nella speranza che questo potesse
rimediare al suo mal di testa. Ma non servì. "Nella testa Lei é ancora
a posto per la sua età", disse il medico. "Io non mi preoccuperei, la
sua mente non ha difetti."
E il professore fu mandato dal suo
amico medico da altri medici e di continuo il suo amico medico
tracciava sulla carta con le linee il suo cervello, e il professore
diceva: "Peccato per la carta, che belle cose vi si potrebbero
scrivere, lettere, parole, frasi. E non solo linee." E passarono le
settimane e i mesi finché il medico, il suo amico, disse: "Non riesco a
trovare nulla, caro amico. E non sono in grado di spiegarti il motivo
del dolore."
".....e non puoi neanche farmi passare il mio mal
di testa", disse il professore. "Abbiamo tentato di tutto", disse il
medico "non mi viene in mente altro."
Allora il professore si
alzò senza una parola e se ne andò, e per il resto del giorno e della
notte bevve raki e vagò da un bar all’altro. Quando il suo amico, il
medico, lo trovò infine in un bar del porto lo prese per mano e disse:
"Una possibilità, carissimo. Abbiamo ancora una possibilità."
E
portò con sé il professore e lo mise a dormire. E quando il professore
si svegliò, il suo amico, il medico, disse: "Aprirò il tuo cranio e ci
guarderò dentro. Forse troverò lo stesso qualche cosa." E il professore
lo guardò, poi annuì e disse: "Sì, fallo."
E quando l’amico del
professore, il medico, del quale si deve sapere che era un famosissimo
chirurgo del cervello, ebbe aperto il cranio del suo amico, gli sfuggì
un Ahhh di sorpresa. Poi osservò il cranio aperto da tutte le parti, si
avvicinò lentamente e con attenzione al cervello del suo amico e lo
leccò. Poi disse: "Va bene, richiudiamolo", e fece un cenno al suo
assistente.
Quando il suo amico, il professore, si svegliò dall’anestesia disse:
"Allora, com’è andata?"
"Bene", disse il medico, "non avrai più mal di testa."
"Questa è una buona notizia", disse il professore, "E da cosa era
causato?"
"Un pelo", rispose il medico.
"Un pelo?"
"C’era
un pelo sul tuo cervello, lungo un centimetro e mezzo, amico mio. Deve
essere passato attraverso il naso e il seno frontale fino alla dura
madre."
"Dura madre?" disse il professore. "Meningi", disse il
medico, "e lì quel pelo ti faceva male. Ora non c’è più." Il professore
sorrise e disse: "Sei un vero amico."
Trascorsero delle
settimane e il professore di Storia Antica di Istambul aveva già da
molto scordato il suo mal di testa, il colore cinerino gli era
scomparso dal volto e si diceva che era tornato di nuovo ad essere
quello di un tempo, eccetto per le danzatrici, ma anche questo sarebbe
ritornato come prima, quando fu chiamato il medico. Avevano trovato il
suo amico steso in strada ubriaco di raki.
"Neanch’io so perché", disse il professore al suo amico. E anche la
volta successiva non seppe dire il perché.
Solo
quando rimase sveglio per giorni e notti bevendo giorno e notte raki
gli venne in mente il perché. "Mio medico e amico", disse al suo amico,
il medico, "non riesco a dormire. Sogno. Sogno ogni notte di una lingua
che mi lecca il cervello. Allora mi sveglio. E allora sento davvero una
lingua che mi lecca il cervello. Lentamente, centimetro per centimetro.
A volte il raki aiuta e allora non sento più niente. Ma aiuta sempre
meno."
"Andiamo a bere raki", disse il medico. E quando furono
seduti davanti al raki il medico disse al suo amico, il professore di
Storia Antica di Istambul: "L’ho leccato via, il pelo. Era più facile e
sicuro che non toglierlo con uno strumento appuntito. Mi dispiace." E
il professore baciò il suo amico, il medico, e lo abbracciò.
"Bene",
dissi e raccolsi i miei fogli che avevo insensatamente sparpagliato
davanti a me "Continuiamo domani alle nove." Poi mi alzai, lasciai
l’aula del seminario, un po’ chino per via del mio mal di testa, e
meditai come procurarmi un bicchiere di vino bianco e un’aspirina o due.
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