Questa volta valico i confini della valle
in cui mi trovo a vivere, ma invece di prendere l’auto e
scivolare lungo la tratta autostradale più cara d’Italia, o
prendere il treno e perdermi nella tratta ferroviaria più
lenta d'Europa, mi lascerò trasportare dai libri.
Ecco, Il delta di
Kurt Lanthaler è il libro che vorrei sempre leggere. I motivi
sono tanti, a partire dalla bella (lo si sente, che è bella,
inventiva, amica) traduzione di Stefano Zangrando. E poi ci
sono le svolte impreviste della storia: perché è vero che
tutto parte nel delta del Po, nell’immane pantano piatto in
cui si aggirano i cacciatori di frodo di anguille, e qui
vediamo agitarsi l’io protagonista dal nome immaginoso di
Fedele Conte Mamai e i suoi amici o rivali, in un pantano
salmastro che rende lutulento anche il tempo, e tutto si
ripete, rallenta, sprofonda; ma a un certo punto tutto
d'improvviso si muove, l’io diventa molte altre cose,
operaio e lavoratore di mille lavori in giro per l’Italia e
anche oltre, fino a tornare al delta da laureato, ad annusare
quell'aria nebbiosa e a inseguire i cascami di quello che è
rimasto. Un personaggio così, picaro di natura, multifaccia
come Ulisse ma senza senso del dramma e del melodramma,
ribelle ma di un ribellismo improntato a una sorta di
understatement, mai protagonista, sempre un po’ defilato, è un
piacere seguirlo dove capita, ai baracconi, in Sardegna o tra
le montagne svizzere (ma come, fin qui è arrivato, da queste
parti? mi dico guardando fuori dalla finestra, come se potessi
vederlo) o a Cinecittà, dove compare anche, in un cameo di
straniante comicità, il Bombolo di tante commediole tirate
via. Ed è anche un piacere vederlo interrogato dalle polizie,
perché sai che sa difendersi, non correrà rischi seri, e dal
non detto verranno fuori altre cose, e a Fedele Conte Mamai
piace ragionare, anche con un po’ di puntiglio.
Che
bellezza queste storie in cui si vivono avventure umane per
interposta persona. Gli vorresti chiedere, da lettore, a
Fedele Conte Mamai e agli altri come lui: ma dove stai
andando, dove mi stai portando? In realtà non lo vuoi sapere,
e ti lasci trascinare dove non andresti mai di tuo, ma loro –
i personaggi inquieti che si muovono tra terra e mare come
animali migratori – ti ci portano, e vivono svolte incidenti
inconvenienti fratture come passaggi naturali, magari
brontolano un po’, ma mai quanto faresti tu, perché sanno che
quel momento sarà presto superato, quell’accidente
dimenticato.
Claudio
Morandini, zibaldoni, 2016
«Si accosta
alla porta, la nebbia, ed entra»: pare di
galleggiare in un’atmosfera d’acque e
fango del fiume Po – e poi di osterie e villaggi – nel romanzo
Il delta, che narra
il ritorno di Fedele, un orfano «spuntato» dalla
sabbia del delta e ora allampanato cacciatore d’anguilla,
che cattura «quando il Po è grigio».
Ida Bozzi,
Corriere della Sera, La lettura, 2016
Chi è Fedele Conte Mamai? Perché è ritornato a Maierlengo,
immaginario paese nel delta del Po, dopo quarant’anni di
assenza? Cosa ci fa con una valigia contenente baccalà e babà,
bresaola e bottarga, insieme a pochissima biancheria? In un
paesaggio felliniano, onirico e vagamente mostruoso, popolato
da personaggi che potrebbero sembrare lontani parenti dei «lunatici» raccontati
da Ermanno Cavazzoni (come il Vaccarin, che di mestiere fa il
bosgato, cioè il macellatore di maiali, in cambio del loro
sangue; o Bombolo, «un barcaiolo piccolo e grasso al quale
il Po dà regolarmente tempo e occasione di ubriacarsi»), scritto
con un impasto di registri linguistici (linguaggi tecnici,
dialetti, lingue gergali e persino qualche frase in cinese) Il delta si caratterizza
per il continuo alternarsi della voce narrante che passa dalla
terza alla prima persona anche all’interno della stessa frase
e per l’avvicendarsi di passato e presente.
Non un romanzo ad intreccio con uno scioglimento finale, ma il
succedersi di avvenimenti che sono anche eventi linguistici e
che imparenta il romanzo di Kurt Lanthaler (altoatesino che
vive a Berlino, per la prima volta tradotto in italiano da un
bravissimo Stefano Zangrando) alla tradizione degli
sperimentatori e sovvertitori linguistici che hanno in Céline
un punto di partenza: come un novello Bardamu anche Fedele è
alle prese col suo viaggio notturno e visionario.
Al lettore non resta che seguirlo senza chiedersi dove lo
porterà, lasciandosi trascinare dalle parole e dal ritmo delle
frasi, andando avanti e indietro nel tempo, avventura dopo
avventura, ricordo dopo ricordo.
Giovanni
Accardo, Indice, 2016
Viaggio
nel paese e nelle sue mille lingue
(…) Mi piace usare il termine «cura la
traduzione» piuttosto che «traduce» perché il
lavoro di Zangrando è qui, più che mai, un prendersi cura di
un testo particolare, una «navigazione» che ha per
punto di riferimento geografico un posto: il delta del Po, ma
si estende, si dilata e si restringe, come fa il fiume nelle
sue secche e nelle sue piene, in un territorio molto più
grande, un territorio geografico e un territorio linguistico.
Al traduttore è dato trovare una lingua ricca di giochi di
parole, allusioni, assonanze, cercando di riprodurre una
ricerca puntuale di etimologie, cercando di non «tradire» i
passaggi indovinatissimi nell’originale, nei dialetti
locali, i dialoghi in italiano, le canzoni e riferimenti
letterari (Torquato Tasso).
(…)
Un bell’impegno questo di Zangrando, egregiamente
riuscito. Il romanzo qui presentato in traduzione, ha come
titolo originale Das Delta;
A definizione dell’autore è «un romanzo
italiano scritto in tedesco».
A questo punto si impongono due righe sull’autore.
Nato a Bolzano nel 1960, vive a Berlino (…). È uno degli
scrittori sudtirolesi in lingua tedesca che preferisco. La
lingua, negli scritti di Lanthaler, muta e si matura e si
muove dai suoi primi romanzi «gialli» fino alla
intensità, sempre gialla, di Azzurro e Napule,
alla poesia, al romanzo Das
Delta, di cui parliamo. Quello che me lo avvicina poi
è il fatto che Kurt Lanthaler sia un uomo di frontiera, uno
scrittore che usa le lingue e i dialetti piegandoli e
concentrandoli in sequenze di suoni significanti un mondo,
oltre che un modo di essere e di pensare. Uno scrittore che
non si lascia ingabbiare da frontiere nè di spazio nè di
lingue.
Ma torniamo al romanzo, alla forma della scrittura. Questo
romanzo è una mappa di vite, prima di tutte quella del
protagonista Fedele Conte Mamai, Bombolotto, Maierlongo, che
nasce in un territorio che è «terra ed acqua» come nelle
canzoni, attraversa il paese e il tempo, passando per pianure
e monti, per luoghi e stagioni, per mestieri e professioni,
per tornare alle origini, al Delta del Po, come l’anguilla,
uno dei simboli del racconto. Il romanzo usa una lingua che è
un gioco, il ritmico alternarsi di lingue appunto o di
dialetti: tutti i quarantotto capitoli del racconto hanno,
anche nella versione tedesca, i titoli, prima in italiano,
seguiti da una specie di spiegazione del contenuto del
capitolo, in lingua tedesca. Non dimentico i dialetti, i vari
dialetti espressi, quasi sempre sotto forma di proverbi, la
vera saggezza dei popoli.
Il protagonista principale, Fedele il trovatello, trovato
appunto e cresciuto dal tacitumo pescatore Bombolo (dal quale
il nome di Bombolino) che vive sul - nel - dentro - sopra, il
grande fiume, il Po, raccoglie le parole come funghi.
Bellissima metafora di chi vive almeno due lingue e due realtà
e si deve fare, da solo, un vocabolario, un modo di
sopravvivere e crescere, per, quasi sempre, fuggire per poi
tornare con una valigia di cartone piena di sogni di luoghi
trascorsi riprodotti in suoni di cibi: bottarga per la
Sardegna, baccalà per le sue terre, bresaola per il Piemonte e
babà per la Sicilia. E Genova e la ricetta della vecia col
pist e Chiavenna e i contrabandieri, e la grande diga e le
molte opera di ingegneria e le storie degli altri, quelli che
sono vissuti e poi scomparsi dal Delta?
Segni, piccole stazioni di pensiero, pause, memorie. Una vita,
tante vite.
Certo emerge lui, un trovatello al quale il suo «padrino
inciampato», perché inciampando lo ha trovato, ha dato il nome
di Felice, i carabinieri che lo prendono, come e per causa
delle anguille, lo chiamano col nome del luogo Maierlongo, e
il Mangiafuoco, con il quale si imbatte in una breve
esperienza circense, lo ribatrezza Conte Mamai, dalla
affermazione del ragazzo che dice «Con-te-ma-mai».
E anche questo nome e questa descrizione, è nel testo
originale, in lingua italiana. Il romanzo non si basa su una
sola storia. Un’atmosfera come quella del delta del Po
si può solo narrare con mille rivoli e mille situazioni,
piccoli e veloci schizzi, giochi appunto di pensieri e lingue,
sciolti nella nebbia che tutto fagocita, condizionati da un
evento, che sempre si riproduce, la piena, la rotta degli
argini, le alluvioni, la tragedia.
Un quadro di un paese, l'Italia, vista da fuori-dentro? Un
Paese dove la nebbia appunto – e non solo questo fenomeno
fisico atmosferico – si presenta alle porte dell’Osteria del
paese Il Cristo dimezzato «come se avesse sete, la
maledetta nebbia. Come se lì dentro non fossero già abbastanza
annebbiati dal vino e dall’acquavite e
dalle storie. Sì, quelli là fuori e le loro chiacchiere sulle
storie, ancora. Tagliano i panni addosso al mondo e cosa
resta? Niente. Solo chiacchiere appunto. Le storie invece:
come se il mondo là fuori potesse comprendersi in un altro
mondo con annessi e connessi, e babá e bresaola, baccalà e
bottarga».
E per finire un pasto con il titolo In cucina / Mise en place, uguale
nell'originale e nella traduzione. Siamo alla fine del romanzo
e il luogo dove Felice ritorna è un luogo dove pare non ci sia
più nessuno.
Così nella traduzione di Stefano Zangrando: «Ecco che senti
trafficare in cucina. Ovviamente no, dici, non può essere.
Senti rumori, colpi di lama. Passi, erbe tritate. Acqua che
scorre... Caro Fedele Conte Mamai, dici mai mai. Mai nella
vita. Te lo stai immaginando.... Ai fornelli c’è un
cinese... A dire il vero, pensavo fosse un paese fantasma.
Hai, dice il cinese, noi siamo gli spiriti: Siamo nelle
cantine a cucire... Qui viviamo nel nostro Grande Fiume. Come
se il mondo fosse tutto qui. Come spiriti in un paese di
fantasmi. E appaiono in cucina i primi mangiatori. Vedi? Dice
il cinese. L’acqua cala, emergono le pietre.
Shuiluo-shichu».
Parole come pietre a segnare gli avvenimenti e il tempo.
Brunamaria
Dal Lago Veneri, Corriere dell’Alto
Adige, 2016
Per Lanthaler scrivere sapendo di essere in futuro tradotto in
un’altra lingua, «è una
possibilità, una vita, una voce in più». E questo
si applica ancora più decisamente se la traduzione di un testo
sarà in italiano, lingua che lo scrittore parla e conosce. E
dove si colloca l’autore di Das Delta nell’annoso
dibattito sulla traduzione che è tradire, cambiare, giocare
con lingue diverse? Risposta secca: «Tutto
questo, inanzitutto, e in più la prova del Nove».
E a proposito di Das Delta,
a che punto è la stesura della seconda parte del lungo
racconto ambientato lungo il Po?
«Ci vorrà
ancora un po di tempo per poter dire: Col Delta del Delta ci
avviciniamo alla Zona
Cesarini. (Causa anche un testo mediolungo su Renato
Cesarini, in fase di compimento)».
Giancarlo Ricci,
Corriere dell Alto Adige, 2017
Il delta di Lanthaler
è un libro che stupisce per un legame profondo e divertito con
la cultura italiana: per la sua estetica, ricca di suggestioni
felliniane e nazional-popolari, e per la storia vera e
propria, giacché la vicenda biografica del trovatello fedele
Conte Mamai attraversa il paese nell’arco di vari
decenni, partendo dal delta del Po e qui ritornandoci, e
accogliendo a ogni occassione apporti idiomatici locali,
dialettali, proverbi. Ne risulta un romanzo vivace e
spiazzante, che poco concede alle facili evasioni di una trama
convenzionale, ma cattura con la poesia delle piccole storie e
degli ambienti.
Stefano
Zangrando, pagina 99, 2016